Solo un fiore ho amato
Solo un fiore ho amato, sconosciuto.
Soffiava il freddo – raschiava il volto
il gelo pungente. Dintorno il silenzio,
un villaggio che cullava l’umida sera.
Divaricavo le stagioni per cavarne
un rifugio; appendevo abiti intrisi
di follie dimenticate sulle punte
affilate dei miei ciechi rimorsi.
Si rannicchiavano i rovi nelle vene,
instillando in circolo temibili gioie:
a cosa darsi appiglio, se la fulgida
primavera dolente giace sui rami?
Tele vuote impresse nelle memoria,
dipinti incompleti dall’acre odore
del tedio: con un colpo di mano
tutto passava sotto l’arco di pietra.
Giudice e condannato del mio io,
con un groppo di pena in gola reo
della solitudine dei tigli vinti,
dell’amaro in bocca della libertà.
Solo un fiore ho amato, sconosciuto.
Reciso dalla tempesta, mai più sarà.
E altri campi rispuntano altrove
alle sembianze di un saluto d’addio.
Marcello Di Gianni
Significazione critica della poesia “Solo un fiore ho amato” di Marcello Di Gianni
La parola decadente del Di Gianni abita il giaciglio dondolante del silenzio, che non oscilla alla gioia se non per illusione e nel rovescio al dolore e alla perdita. L’amore del poeta, mai diretto, è sempre secondo, sempre in figura, rivolto alle fenomenologie del transito della vita, perché l’umano è ignoranza, rimorso del costitutivo errore e tedio dell’attesa delusa della sua essenza aggettante: è mancanza ad essere in scacco della libertà da se stesso e indotto a ricordare in ogni cosa presente il proprio amore per l’assenza, per ciò che non è più.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti