Critica in semiotica estetica dell’Opera “Babel” di Giuseppe Festino (Fenice)
Il pathos dell’imago-azione pittorica del Festino proietta il moto d’intreccio di una torre babelica carnale: è l’alfabeto muto, unico, irriflesso, precategoriale e universale del corpo terreno, che con perversa e tracotante ambizione di superbia brama il raggiungimento della deità. È l’indistinzione della divina animalitas, dell’azione che precede la parola e l’identità del nome e che vive la vita instante il continuum transitivo al mondo. L’artista ricrea l’infinitizzazione di un sé totale, regresso, infine, sino a puro e primigenio movimento igneo dell’immemoriale, all’origine archetipica dell’uomo nell’elemento naturale.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti