Critica in semiotica estetica dell’Opera “Scie” di Claudio Limiti
Le sinestesie liquide e tattili della fotografia del Limiti sospingono, dalle sospensioni extratemporali dell’ontogenesi, nell’imbibizione al grembo materno, sino all’immemoriale collettivo delle fasi cosmiche dell’aggregazione dell’energia in materia. La domanda di sé, di un essere in fieri, è in ogni singolo istante accorsa da una risposta di rispecchiamento: le modulazioni materne del tono muscolare arrivano in carezze, in onde di pressione amniotica, prime ancestrali note, risuonanti i movimenti del gesto emotivo. L’artista raccoglie la primigenia propriocezione alle impressioni sulla pelle: macchie e scie lanciate in un chiaroscuro di luci, tensioni e distensioni del tono muscolare, ove l’essere null’altro chiede all’ambiente che la risposta infinita di sé.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti