Di una donna, il tempo impregnato di dolore
Gli occhi fissi alla pioggia, perduto nella regione sospesa
tra il sonno e la veglia, lui respira nicotina e mormora versi
di un osceno motivo popolare.
Piegata sul cucito al riparo di un muro interiore,
per non morire penso alle rose più dolci in primavera
intrise di vento che tutte le possiede.
E alla mente d’un tratto torna il gitano bello e gioioso
che in un lontano giorno di festa lesse dal mio palmo
la fortuna e un bacio chiese per compenso.
Rivivo delle labbra il tiepido contatto, la vampa sul viso,
lo sconosciuto acceso turbamento.
Un tremito, un sospiro e il filo vola via.
Lo raccolgo: ritrovo la vita passata, il gitano gioioso,
il viale alberato che – complice – nell’ombra
l’abbraccio nascondeva.
Riprendo a cucire e piango, in silenzio
ché lui non senta, non veda, non esplodano le sue parole.
Ora so che non c’è ritorno. E se domani al risveglio
fossi cieca e sorda per non vedere, non udire?
Rimpianto, solitudine, filo caduto
sul greto del tempo impregnato di dolore,
fiume disseccato dove infine riposo con il mio fardello.
Giulio Bernini
Critica in Semiotica Estetica della Poesia “Di una donna, il tempo impregnato di dolore”
di Giulio Bernini
Il verso cantato del Bernini racconta della prigionia di una donna, che eleva il filo del cucito a metafora del corso della vita e come complemento delle Parche, Clòto, Làchesi e Àtropo, subisce essa stessa il silenzioso reiterato destino di sofferenza, che solo l’immaginazione allevia. Il filo è lacrima, sintomo dell’abisso nascosto di sogni svaniti, di ricordi dimenticati, di rimorso, di rimpianto, di paura e insieme letto asciutto del fiume, del divenire impetuoso e impietoso del perduto, che si arresta, nella fissità immobile del presente, come morte ripetuta, quotidiana.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti