dìdimo
rimane estraneo il gioco della luce
di un’alba per dispetto
parallelo di ghiaccio di un ricordo
dell’attimo più caldo della vita
in un senso di noia
di stupore di occhi addormentati
dove il silenzio è ascolto
di una speciale incognita d’amore
in questo tempo
di sottili finzioni di paura
nell’immenso stupore di vedere
quanto è distante
il volubile senso di abbandono
all’occasione
all’invito più caro
alla nebbia del sogno più reale
in un mistero
dove fredde stelle di contorno
sono il mondo di luci
di una folle idea di perfezione
in una fede oscura
immobile agli sguardi
delle risposte che non hanno fede
e una voce dilegua da lontano
quello che non esiste nel pensiero
ma sente il verso di un amore
che cerca un universo da adottare
gridando in sogno
quelle parole che non ha compreso
ma ha vissuto
nel doppio di una vita sconosciuta
Stefano Zangheri


Critica in Semiotica Estetica della Poesia “dìdimo”
di Stefano Zangheri
La deriva del verso aperto, continuo e tornante dello Zangheri sospinge al largo della vita, sulla corrente della rêverie, all’abbandono al magnetismo, per la sintesi insolvibile alla dimensione umbratile e gemellare. La noia è umano costitutivo essere in odio della messa in scena della forma segnica, come distanza e ripetizione analogica di estraneità in divenire, ufficio della parola, eppure unica condizione di accesso allo stupore irripetibile del silenzio, per l’oggetto irriflesso della vita. Unica fede dell’uomo è la domanda d’amore, ciò che letteralmente lega al senso e partorisce l’universo.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti