Sogno d’abisso
In un sogno bagnato di immensità,
ed ebbro di vuota lucentezza,
sfrecciavo io, malato d’intensità,
ossesso tracimante insensatezza,
ad inseguire tumuli di vento
attraverso nubi di furore,
su di un cielo piatto e sbilenco
per sentieri obliqui d’amore.
Piangendo lacrime di marmo liquido,
tagliente,
che scavavano abissi lucenti nel mondo,
violavano il suo empio vuoto profondo,
come vertigini di senso nitido,
sfuggente.
Rubava la Luna, l’eco brillante del Sole,
in fondo al suono del Tempo stropicciato,
da cui già colavano gocce del suo nome,
possenti come un gigante addormentato.
Gabbiani in bilico sull’alba
ridevano la propria follia,
grondante come cera calda
nel gorgo d’una vana bugia.
E ora che dopotutto è già quasi finita,
vedo che quel sogno febbrile, era questa vita.
Andrea Di Massimo
Critica in semiotica estetica della Poesia “Sogno d’abisso” di Andrea Di Massimo
L’eco rimata della parola del Di Massimo ripete la condizione seconda dell’uomo, prigioniero della bidimensionalità della rappresentazione, a sognare la profondità della verità, con l’unica risorsa obliqua del lancio d’amore, della finzione dell’arte. Unico supporto di certezza è il tempo: la carta delle tracce erranti del vivere struggente, che rinomina le apparenze all’uomo mendaci.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti