Cristo con violino
(dedicata a Baris Yazgi)
Sento l’onda che veglia sull’incontro dei miei ultimi batticuori
con le sue variazioni d’azzurro
dove non c’è ritorno,
il mio nome che si allunga in pentagramma
per quelle creature che attendono il cielo,
l’orizzonte che sconfina nel vuoto
prima di essere nostalgia,
sento il giorno che non ha rotta
e l’istante in cui sospeso come una goccia
lascio farmi sogno.
Sono un Cristo che ha per croce un violino,
le sue corde il mio pane quotidiano,
la sua voce il mio perdono,
leggero come polline di conchiglia
mi lascio trascinare dove le stelle marine
sono fiori che cantano l’amore
e il mondo è uno schizzo che ha smesso di bruciare,
capovolto nella tela d’ombra che scintilla
e ovattato come il desiderio di una carezza
che desiderio resta.
Sento il mio corpo liquido, senza sartiame,
e assoluto,
quasi una lacrima che scivola sui polpastrelli del mare
mentre il sole dipinge il suo raggio
con cui mi trafigge
e mi ritrovo sposo senza promessa e senza vestito
un albatro di bruma che si tende oltre l’onda, dove i ricordi non sono ancora nati e gli occhi tacciono,
mentre le dita predicono un’eco della mia terra.
Davide Rocco Colacrai
Critica in semiotica estetica della Poesia “Cristo con violino” di Davide Rocco Colacrai
La bellezza, poietica ed estatica, del verso del Colacrai, in un coacervo di sinestesie dalla figuralità indomita, accompagna la sacertà dell’inaudito umano dolore, legato ad una, seppur stessa, infausta e disconosciuta finitudine, alla libertà della consustanziazione al tutto, alla connaturazione sponsale al grembo materno delle acque marine, nelle sfumature più dolci e struggenti del superamento dell’individuazione, oltre il confine identitario. L’amara condanna ad un perpetuo esilio dell’uomo dalla casa del senso diviene la catarsi di una commozione universale per questo trascendimento: la dimensione antitetica si scioglie, in infinità e libertà naufraga l’eco della dimensione indicale del desiderio ignorato.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti