Critica in semiotica estetica dell’Opera “Edipo Re” di Simone Tumiati
L’oggetto naturale del Tumiati è eletto in qualità di luogo proiettivo, per la conoscenza della dimensione inconscia. Bitume, torba, rocce e antichi pigmenti minerali sono il grembo della terra ove l’uomo rivolge la tracotanza del desiderio di sintesi unitaria, che nasce dalla generazione sessuale, per la sublimazione conoscitiva. L’artista, eroe dionisiaco-edipico, lascia la soglia della parola, nella hybris, volto alla rimemorazione immemoriale dell’evento ancestrale dell’origine, che abbraccia il regno delle madri. È l’urlo selvaggio di autogenerazione, che precede la fecondità riflessiva del linguaggio, trasfigurante l’eros in rappresentazione contemplativa. L’artista è colui che vede, provenendo dal cuore fremente della vita. Il distacco dalla madre segna l’ingresso dell’uomo nell’identità, come limitazione legiferata ed enunciabile e l’appartenenza alla comunità sociale, obbediente alla legge del padre, a riporre la gratificazione istintuale entro la tensione del significante verso un significato irraggiungibile. L’artista tenta il processo inverso, che spoglia i significanti, come le tante vesti in luogo di un unico corpo primario, una sacra mandorla, la divina vulva della grande madre, l’intersezione di sintesi della diade delle sfere degli opposti, per il piacere originario di essere, regno di superna conoscenza.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti