Inesorabile finitudine

Nella latenza della fine
m’avvolgono irrorati tormenti.
Alita il libeccio tra tempeste di zolle
sui selciati dell’inganno
mentre un dolore garrulo
gronda dallo sguardo.
Erro nell’entropia del disagio
e l’attimo si fa crepa e caligine di cenere.
Io, cresciuta tra gli abbandoni
tremo le labbra di sillabe di silenzio
mentre sedimento dune di memoria
prigioniera delle sue malie.
Mi stringo tra bagliori d’ignoto
nel triste pastrano
come iato dell’ultimo abbraccio
refuso di immagini antiche
come in dolente ciarpame
che veste ormai nudo il giaciglio.
Fuggiasca tra le sponde del tempo
ricordi cinerei di mancanze
mi spogliano d’affetti sospesi
tra crudeli anomie grumose…
Risento tra case sparute
sciami di voci lontane.
Mentre limbica incedo
tra stanze porose di lacrime
come roveti di limpidi fotogrammi
riprovo il vuoto ordito
di scaglie di dissonanza.
M’inedia ora il tempo
intriso del lucore di vestigia
d’inesorabile finitudine
che più non nutre il palpito di un nuovo seme
ma solo l’ultimo strappo di un mesto imbrunire
che ormai corrode l’essenza.

Albertina Minissa


Critica in semiotica estetica della Poesia “Inesorabile finitudine” di Albertina Minissa

Elegante e sinestesica, la parola della Minissa ascolta profondamente la dissonante finitudine umana nel dolente bagaglio, non reintegrabile, di negazione, di differenza, di mancanza, di dolore, di distacco, di perdita, che solo l’abbraccio armonico tra provenienza e destinazione risolve all’eternità. La linearità fugace approssima all’altra notte, ferma per la catarsi del sentimento tragico.

Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti