Dai campi a sera
Di agreste sapore empio narici,
e di mite libeccio che semina paglia
mi faccio cantore.
V’è concordia tra sereno e fatica
oltre l’incanto dei pigri vigneti di porpora e d’oro.
Oltre le sponde cannose il lago è fiorito di sole,
e come acquerello garbato
fissa glabro tenore su ruvide terre.
Nell’orto, ove acerbo silenzio matura,
germoglia sudore di padre e di tempo
e dentro il canale,
si specchia la fronda di gemme novizie.
Ogni dimora
promette calore nel desco d’unione,
è muto convivio che tace dolore
entro mura di fumo e ritiro.
Tutto è quieto dove ogni luna
adombra terre silenti.
E nulla rifugge dall’antico sapore di un’alba,
che accoglie il primo vagito del sole.
Vinicio Salvatore Di Crescenzo
Critica in semiotica estetica della Poesia “Dai campi a sera” di Vinicio Salvatore Di Crescenzo
Sapiente, assapora la parola del Di Crescenzo, avvalora la vita nel rito tradizionale, che il significato fedelmente rinasce alla vita. Il rituale del lavoro campestre è fondamento identitario, che celebra il connubio armonico dei corpi di uomo e di natura e dei luoghi d’inconscio e di coscienza. La dimensione essenziale, spoglia d’orpelli, supera la contingenza del tempo lineare, a fiorire la quiete che non rimuove il dolore, che lo reintegra, che gesta nuova coscienza al senso del vivere.
Presidente Fondatrice,
Prof.ssa Fulvia Minetti